30 Mar Crisis management: la comunicazione in tempo di crisi
Siamo tutti immersi nel delicato periodo del coronavirus e siamo stati sommersi da dichiarazioni di ogni genere, contraddittorie, un giorno allarmistiche, un giorno minimizzanti: cos’è questo se non un caso di crisis management?
Tanto che, oltre ai media, gli stessi governi in Europa (e non solo) hanno tenuto una linea politica e quindi comunicativa palesemente a zig zag. Perché questo? Perché l’emergenza è emergenza. Banale a dirsi ma è così.
Coglie impreparati il più delle volte, specie in condizioni mai viste prima, e l’indeterminatezza delle informazioni mista a vari bias, ossia le nostre fisiologiche distorsioni cognitive, può portare ad una gestione, non solo a parole, piuttosto ondivaga.
Facciamo qualche esempio. La Cina, tralasciando le questioni politiche interne che tutti conosciamo, ha fornito informazioni e dati col contagocce all’inizio della crisi sanitaria.
Questa mancanza di dati netti ha causato una “stasi” decisionale negli altri paesi che fra i pareri dei propri esperti e quelli cinesi hanno dovuto prendere iniziative più o meno cautelative. Di ciò abbiamo avuto un riflesso nelle relative comunicazioni istituzionali: quasi tutti i paesi europei hanno minimizzato i rischi, con poche voci allarmistiche.
Un bias che funziona molto, anche in questi casi, è quello cosiddetto di “conferma”. In sostanza tendiamo a cercare e selezionare solo quelle informazioni che riteniamo aderenti al nostro pensiero o al nostro sistema di credenze. In parole povere diamo retta solo a quello che conferma quello che già pensiamo. Immaginiamo quindi la potenza di questa distorsione. E’ così che molti leader politici hanno minimizzato i rischi, soprattutto non avendo informazioni certe a riguardo.
E’ a questo punto che gli stili di comunicazione si possono pertanto dividere in due tronconi: chi minimizza e chi diffonde allarme, a seconda delle proprie convinzioni. Per di più detti stili si sono più volte sovrapposti, interscambiati e via dicendo. Prendiamo quindi il caso dell’Italia per capire meglio.
Numerosi virologi hanno giustamente cercato di rassicurare la popolazione, il tutto ripreso dai media, fino a molti personaggi famosi che hanno di conseguenza cercato di fare altrettanto. Al contempo altri medici hanno tuttavia sostenuto di non abbassare la guardia a causa di rischi concreti e pericolosi alla porta.
Ciò ripreso anche da altri volti noti. Nel mezzo c’eravamo noi. In tutto questo minestrone comunicativo la politica non può che fare una scelta, cioè decidere da che parte stare, almeno in teoria.
La comunicazione del Premier Conte è infatti stata all’inizio minimizzante, rassicurante, senza entrare troppo nell’emergenza di per sé, non avendo elementi certi, fino ad aumentare le misure di contenimento e di restrizione accompagnandole ancora da un linguaggio semplice, empatico che (correttamente) parla più al cuore che alla mente dei cittadini, introducendo via via elementi di emergenza più o meno gravi.
Questo ha però probabilmente disorientato i cittadini che ancora oggi violano le norme adottate. Pensiamo invece a Boris, il Premier inglese, che ha in un primo momento dichiarato di voler perseguire l’immunità di gregge lasciando infettare volutamente l’intera popolazione britannica, prendendo atto passivamente delle possibili morti, per poi finire a “tranquillizzare” il paese adottando ogni misura di protezione possibile. Una comunicazione nata allarmistica e finita tale, ma con linee d’azioni differenti ed opposte.
Di certo disorienta anch’essa la popolazione e non poco.
Non c’è allora da stupirsi se la carta igienica (come successo in Australia) possa diventare di colpo un bene essenziale solo perché vedendone gli scaffali vuoti al supermercato (in genere prende molto spazio e se manca si nota ancora di più) le persone tendono a ritenerla vitale. Un altro bias (detto effetto trainante) che ci fa credere, guarda caso, che quello che fanno gli altri è giusto ed occorre seguirne l’esempio.
Un po’ come la nostrana corsa all’acquisto dell’Amuchina, che farebbe impallidire qualsiasi leone o gazzella al mattino perché superati in velocità persino dall’essere umano.
Psicologo Rocco Chizzoniti