Il politically correct non piace al nostro cervello

Il cervello se ne infischia del politically correct!

Chi si occupa di marketing, nello specifico di neuromarketing, conosce bene il funzionamento degli stereotipi ed il loro utilizzo nelle campagne pubblicitarie. Ma la storia degli stereotipi segna prima di ogni cosa la storia dell’uomo, nonché la quotidianità di ogni singolo individuo.

La vicenda che ha coinvolto Disney in questi giorni ci ha fatto riflettere e vorremmo farlo assieme a voi: poi diteci cosa ne pensate!

Partiamo dalla notizia: Dumbo, Peter Pan e Gli Aristogatti sono da ieri vietati ai minori di 7 anni. Non sono più annoverati fra i contenuti indicati per i bambini, all’interno della piattaforma Disney +. In particolare si recrimina agli amici di Dumbo di discriminare gli schiavi afroamericani cantando “E quando poi veniamo pagati, buttiamo via tutti i nostri sogni”; Peter Pan invece sarebbe bandito per l’uso dell’appellativo “pellirosse” considerato denigratorio nei confronti dei nativi americani; mentre gli aristogatti si farebbero portavoce di uno sgradevole stereotipo riguardante gli asiatici attraverso la figura di Shun Gon.

La storia si ripete: era già successo nel 2019. Quella volta sotto accusa c’era stato Lilly e il Vagabondo, cartone in cui, secondo i paladini del politically correct i siamesi venivano raffigurati come malefici.

I tre cartoni in questione quindi, da pochi giorni, sono presenti nella sezione adulti di Disney+ e visibili previa precisazione “includono rappresentazioni negative e/o denigrano popolazione e culture (…) piuttosto che rimuovere questi contenuti, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo”.

Inclusivo in che senso?

Proprio su questo concetto vogliamo riflettere, ma per farlo prima vediamo cosa sono gli stereotipi e come funzionano. Aldilà della specifica scelta di Disney che riteniamo sia piuttosto comprensibile.

La nostra psicologa Paola Sciutto ci fornisce una definizione di stereotipo: l’attribuzione di un numero ridotto di tratti a un insieme più ampio e complesso di elementi, racchiudendoli tutti in una macrocategoria. Uno stereotipo, dunque, non è altro che un’etichetta, un giudizio grossolano e non del tutto corretto, che viene apposto indistintamente ai soggetti facenti parte di una determinata categoria. Ma non per questo negativo! Infatti è utile distinguere fra stereotipi (convinzioni sulle caratteristiche di un gruppo) e pregiudizi (valutazioni negative del gruppo).

Interessante a tal proposito è analizzare il funzionamento degli stereotipi anche dal punto di vista sociologico. Gli stereotipi, intesi come schemi automatici di pensiero sono rilevanti poiché concorrono in parte al funzionamento della società, alla costruzione sociale della realtà quindi alla semplificazione delle interazioni fra gli individui. Ognuno di noi adotta comportamenti che derivano da una elevata percentuale di schemi automatizzati: sono strutture di pensiero automatiche che non necessitano di un impegno mentale per doverle attuare, non necessitano di razionalità anche perchè l’essere umano non dispone di una razionalità tale da gestire in modo scrupoloso tutte le scelte ogni singolo giorno: non ce la faremmo a compiere tutte le azioni in modo controllato, senza automatismi. Soprattutto in una società caratterizzata dall’overload informativo!

“Come facciano gli esseri umani a conoscere una realtà sociale così complessa come quella che ci circonda rappresenta l’oggetto di studio della “social cognition”. La cognizione sociale si occupa dello studio dei processi attraverso cui le persone acquisiscono informazioni dall’ambiente, le interpretano, le immagazzinano in memoria e le recuperano da essa, al fine di comprendere sia il proprio mondo sociale, sia loro stesse, ed organizzare di conseguenza i propri comportamenti, in funzione dei propri bisogni” (Paola Sciutto)

Anche nel marketing, l’utilizzo di stereotipi facilita la trasmissione del messaggio poiché contribuisce a far leva su determinati valori in modo rapido, automatico, senza necessarie elaborate interpretazioni. Inoltre, gli stereotipi favoriscono il processo decisionale poiché rievocano emozioni, ricordi fortemente radicati nel nostro inconscio. Gli stereotipi ad esempio vengono attivati attraverso il cosiddetto priming semantico o affettivo. D’altronde non è una novità: la comunicazione è fatta di simboli e significati. Rilevante piuttosto è capire quali significati si danno perché solo capendo ciò si può pensare di immaginare “un futuro più inclusivo”.

Analizzato da questo punto di vista, quindi, il caciocavallo dello spot Conad (oggetto di un’accesa critica in quanto mostrava un giovane meridionale in partenza verso il Nord preparando il famoso “pacco da giù”) non ci sembra così tanto da demonizzare. Ed anche il termine “pellerossa” potrebbe non risultare denigratorio.

Anzi inclusione autentica potrebbe considerarsi proprio il superamento di vecchi retaggi del passato al fine di enfatizzare ciò che realmente distingue ogni cultura ed epoca.

Nella società odierna, ad esempio, l’intelligenza artificiale e la robotica rischiano di sviluppare pregiudizi. Confermando ancora una volta quanto suddetto: gli ancoraggi funzionano, perché ci permettono di ordinare la realtà.

Ebbene si, ancora oggi, nel 2021! Semplicemente perchè il nostro cervello continua a funzionare allo stesso modo da milioni di anni: evita sforzi cognitivi per risparmiare energia (utile alla sopravvivenza) infischiandosene del politically correct!

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